L’APPARTENENZA ALL’ORDINE

Sempre più frequentemente si percepisce fra gli iscritti all’Ordine un senso di confusione e fraintendimento sulla natura e sulle funzioni dell’Ordine e, soprattutto, sul reale significato etico e morale dell’iscrizione all’Albo professionale.
Più volte abbiamo trattato dell’argomento (nel corso di conferenze, comunicazioni, incontri coi neoiscritti); ma, di fatto, ne permane una generale scarsa conoscenza; ed, in particolare, delle norme e delle leggi che regolano la professione, ineludibili per poter svolgere con serietà e dignità il ruolo di Architetto.

Se è vero, come ben esprime la premessa al “Testo Unico delle Norme Deontologiche” (1994), che:
L’architettura è espressione culturale essenziale dell’identità storica di ogni paese.
L’architettura si fonda su un insieme di valori etici ed estetici che ne formano la qualità e contribuisce, in larga misura, a determinare le condizioni di vita dell’uomo e non può essere ridotta al mero fatto commerciale, regolato solo da criteri quantitativi. L’opera di architettura tende a sopravvivere al suo ideatore, al suo costruttore, al suo proprietario, ai suoi primi utenti: Per questi motivi è di interesse pubblico e costituisce un patrimonio della comunità.
La tutela di questo interesse è uno degli scopi primari dell’opera professionale e costituisce fondamento etico della professione. […] gli architetti hanno il dovere, nel rispetto dell’interesse presente e futuro della società, di attenersi al fondamento etico proprio della loro disciplina.
Gli atti progettuali degli architetti rispondono all’esigenza dei singoli cittadini e delle comunitàdi definire e migliorare il loro ambiente individuale, familiare, collettivo e di tutelare e valorizzare il patrimonio di risorse naturali, culturali e d economiche del territorio, adottando, nella realizzazione dell’opera, le soluzioni tecniche e formali più adeguate ad assicurarne il massimo di qualità e di durata, e il benessere fisico ed emozionale dei suoi utenti.
Se è vero tutto ciò, allora si può facilmente intuire quale sia il ruolo dell’Ordine professionale e quale quello del singolo professionista che opera nella società.

L’Ordine non è una Associazione, un Sindacato o un Club; è una Istituzione dello Stato o, più precisamente, un ‘Ente pubblico non economico’; come è noto, esso è investito per legge del ruolo di Magistratura (non di avvocato di parte a favore dei suoi Iscritti, come spesso erroneamente si pensa); non “difende” cioè, a priori, il professionista, ma tutela e promuove la professione ed il ruolo dell’Architetto nella società. Ruolo che risponde ad un interesse pubblico, che va oltre l’aspetto tecnico, investendo quello più generalmente culturale ed, in particolare, quello etico: Cultura ed Etica è, infatti, il motto che il nostro Ordine ha assunto per qualificarsi.
E sebbene l’iscrizione all’Albo sia obbligatoria per esercitare la professione, non è obbligatorio, per l’Ordine, nel rispetto delle leggi vigenti e delle Norme Deontologiche, mantenere iscritte persone che non abbiano quelle caratteristiche etico-culturali e professionali sopra richiamate.

L’iscrizione all’Albo, quindi, non va intesa come semplice atto burocratico che, con l’assegnazione del cosiddetto “timbro” consente comunque di esercitare la professione avendo conseguito una laurea ed un’abilitazione professionale; va piuttosto intesa come atto consapevole, che permette, nell’interesse di tutti, di svolgere un ruolo di riconosciuta autorità all’interno della società: niente, infatti, come è noto, può venire modificato ‘sulla faccia della terra’, che non sia stato preventivamente autorizzato dalla società stessa, sulla base di un progetto redatto da un tecnico abilitato (e, tra questi, per eccellenza, in tutte le nazioni civili, dall’Architetto).

D’altro canto, come detto, l’Ordine professionale non è il ‘buon padre di famiglia’ pronto a rimediare ad ogni errore, consapevole od inconsapevole, dei propri ‘figli’; dal momento che l’Ordine non legittima né avalla ciò che vada contro i principi della professione e contro gli interessi della collettività: anzi, è chiamato, per istituto, a combatterli.
La conoscenza ed il rispetto delle Norme Deontologiche non sono, quindi, un fatto facoltativo; ed al ‘Codice’ devono rispetto non solo i liberi professionisti, ma tutti, indistintamente, gli architetti iscritti all’Albo (anche i pubblici dipendenti) come chiaramente recita l’Art. 2: “Le presenti norme [deontologiche] valgono in qualunque forma venga esercitata la professione sia libera che dipendente, pubblica o privata“.
Ogni Architetto ha l’obbligo, quindi, di affiancare alla sua personale preparazione culturale una ‘coscienza professionale’ tale da potere essere chiaramente riconoscibile ed apprezzabile da parte della società civile, in particolare da committenti e colleghi.

Non è ammissibile peraltro che un Iscritto che si sia impegnato a rappresentare non solo l’Ordine ma la professione stessa in commissioni istituzionali, commissioni interne, gruppi di lavoro venga meno al proprio dovere ed al rispetto dell’Ordine (Artt. 46, 49, 52, 53); non è ammissibile che un Iscritto ignori le deliberazioni e le richieste che gli vengono espresse dall’Ordine (Artt. 1, 42, 43, 44, 45, 47); non è ammissibile che un Iscritto crei nei confronti dei colleghi situazioni di concorrenza sleale sia a carattere personale sia – e qui ci si rivolge ai dipendenti e funzionari di pubbliche amministrazioni – non adottando il medesimo comportamento nei confronti di uno o dell’altro (Artt. 8, 10, 16, 27, 33, 34, 36, 37, 38); non è ammissibile che un Iscritto millanti titoli, professionali ed accademici, che non possiede (Artt. 6, 17, 35, 40); non è ammissibile che un Iscritto svolga l’attività di libero professionista in condizioni di incompatibilità con essa (Artt. 13, 28, 29, 30, 48); non è ammissibile che un Architetto non si trovi nelle necessarie condizioni di indipendenza che gli permettano di esercitare la professione in conformità con le regole deontologiche assumendosi la responsabilità delle proprie azioni (Artt. 4, 5, 7); non è ammissibile che un Iscritto venga meno al rapporto di onestà e lealtà con il proprio committente (Artt. 14, 15, 18, 19, 22, 23, 26); non è ammissibile che un Iscritto degradi la professionalità e la figura dell’Architetto abbinando la propria firma a tecnici che per formazione e per legge non hanno le stesse competenze professionali (Art. 31).

R.D. 23 ottobre 1925 n° 2537
Regolamento per le professioni di Architetto e Ingegnere